Nel giro di pochi anni, pare, le immagini costituiranno l’80% di quello che troveremo sul web.
Cosa dovrebbero fare dunque le aziende? Buttare i testi e concentrarsi sulle immagini?
In realtà continua a operare una legge non scritta (a proposito di scrittura e non) per la quale l’80% del fatturato si fa, nel migliore dei casi, con il 20% della clientela. Vuoi vedere che sarà proprio quel 20% che legge i testi?
C’è una grande confusione tra il successo delle immagini, in termini di accessi, e la loro redditività. Ci sono milioni di giovani che si nutrono di immagini sul web. Per divertirsi, però. Non per spendere.
Il testo, insomma, resterà prevedibilmente la spina dorsale delle strategie aziendali. Rimane il problema di confezionarlo bene. Ricorrono una serie di consigli piuttosto buffi: scrivete chiaro, scrivete bene, mettete dei contenuti…come se questo non fosse d’obbligo anche per spedire una cartolina.
Esiste certo uno specifico del web, ma è composto di una serie di sotto-specifici: stiamo scrivendo una mail? Il testo di un blog? Un testo di Facebook? Un white paper? La pagina di presentazione di un sito? Non è affatto vero che la loro parentela digitale sia riducibile a un codice omogeneo. E poi: a chi ci stiamo rivolgendo? Su quale supporto prevediamo che venga letto il testo? Esiste una continuità di lettura nei destinatari? Un nostro programma nel tempo? Senza avere chiare le idee viaggeranno testi senza identità. Almeno nella forma: e però (in letteratura lo hanno scoperto da tempo) la forma e il contenuto non sono due cose distinte ma si compenetrano finendo l’una nell’altro.
Non c’è proprio nulla allora che venga segnalato dall’alert “occhio, stai per avviare una comunicazione digitale”?
Qualcosa in verità sì. Anzi, almeno tre cose.
La prima risale al 1999, all’espertissimo Jakob Nielsen che ha usato la bella metafora della piramide rovesciata. Sul web, dice, bisogna partire dalle conclusioni. Messa giù così forse è troppo radicale. A volte basta farle intravedere le conclusioni, per lasciare il fiato sospeso e la voglia di raggiungerle. Però l’assunto di fondo è vero. Perdersi nei preamboli e diventare spam sono tutt’uno.
La seconda è che ogni testo sul web è anche una forma grafica. Questo può essere dato in automatico dalla struttura (come la pagina di un social o l’architettura di una mail), può essere frutto di abbinamenti ad immagini, di titoli e titoletti, o anche solo alimentarsi dei neretti e delle spaziature. Il difetto di quest’elemento mette il destinatario nella condizione di uno spettatore che guardi la televisione senza audio.
La terza è che sul web si tende a privilegiare una comunicazione che da una parte enfatizza gli elementi visivi e dall’altra cerca di riprodurre, a livelli più o meno elevati, l’informalità e la voce di una comunicazione verbale (e persino dei gesti che l’accompagnano: pensate alle emoticon). L’utente della Rete (specialmente quello al cellulare) insomma fa una cosa nuova: scriparla. E per catturarlo, ha più appeal chi gli scriparla a sua volta. Insomma, il tono pomposo e autoreferenziale, tipico del marketing classico, è un suicidio.
Pensate un attimo se state rispettando queste regole per riflettere se, per caso, non state procedendo nel modo sbagliato.
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