“Abbiamo un problema? Risolviamolo!” è un buon approccio decisionistico per chi esercita un’azienda o dirige uno studio professionale. Peccato che non sempre venga preceduto da un’impostazione come: “Abbiamo un problema. Ma siamo sicuri di sapere esattamente quale?”.
La prassi di osservare i problemi sotto un’angolazione diversa da quella che si presente come evidente, modificandone percezione e quindi significato, si chiama reframing, nasce nella programmazione neurolinguistica e nel marketing costituisce un approccio assai fertile, approfondito dalle ricerche di Thomas Wedell-Wedellsborg e Paddy Miller. A loro merito va pure ascritto il merito di un esempio irresistibile per intenderne immediatamente l’utilità. E’ la storia dell’ascensore lento.
In un edificio c’è un ascensore vecchiotto che i condomini lamentano essere troppo lento. Tale è il fastidio per le attese che minacciano di recedere dai contratti di affitto. Cosa deve fare il proprietario? Per forza svenarsi e ordinarne uno più moderno? Esiste una soluzione più economica. Piazzarci a fianco uno specchio. E l’idea si dimostra efficace nel ridurre le lamentele, perché le persone trascorrono almeno una parte di quel tempo d’attesa a contemplare quella cosa tanto affascinante che sono loro stessi.
Il dato interessante è che la soluzione trovata non rende più veloce l’ascensore, e dunque non è una soluzione al problema dichiarato: ma è la risposta a una diversa comprensione del problema. Non si tratta di abbindolare le persone, ma di cogliere quella che era la sostanza del problema reale (la noia dell’attesa più che la sua reale entità). Potevano esserci ancora altre prospettive dalle quali reinquadrare il problema: magari si trattava di un picco della domanda che si risolve spalmandola, ad esempio differenziando gli orari della pausa pranzo. Come scrive Wedell-Wedelsborg, il punto non è trovare il “vero” problema ma capire se ce n’è uno migliore da risolvere. Lo studioso cita un caso aziendale paradigmatico riguardante il canale entertainment per bambini Nickelodeon: una sua app, per essere scaricata, richiedeva una procedura piuttosto complessa, che esigeva di loggarsi al televisore via cavo. Arrivati a quel passaggio i bambini gettavano la spugna. Pensando che il problema fosse l’usabilità (una vera specialità del team di Nickeodeon) in azienda si focalizzarono sulle azioni dei bambini, per capire dove introdurre una semplificazione. A un certo punto qualcuno comprese che il problema non nasceva da quello che facevano ma da come si sentivano durante il processo di accesso: esaminando la risposta emotiva emerse che i bambini di dieci anni consideravano la richiesta di una password un territorio proibito. Quando da Nickelodeon aggiunsero un video in cui si spiegava che non c’era niente di male nel richiedere la password ai genitori il tasso di accesso alla app si impennò.
Il reframing applicato al problem solving insegna molte cose, anche sotto il profilo della comunicazione. Prima di tutto sulla comunicazione interna: per inquadrare correttamente un problema è opportuno coinvolgere risorse interne differenziate, e al limite anche degli estranei, chiedendo a tutti un parere. Un problema è anche un messaggio: approcciarlo da specialisti puri rischia di farlo decifrare con il codice sbagliato.
E’ ovvio poi che reinquadrare il problema impone di comunicare all’esterno la sua soluzione con modalità che aiutino chi lo lamentava a percepirlo in modo diverso. Comunicare la soluzione non significa sempre che sia opportuno annunciarla: potrebbe essere sufficiente ( e consigliabile) ricorrere a “segnali” che indirizzino il destinatario a resettare la sua precedente disposizione.
L’ultimo motivo per il quale mi preme il reframing è che esso è chiaramente un atto di apertura culturale, nel senso di considerare le questioni d’impresa sotto una luce più ampia della risposta tecnocratica e meccanica a un feedback. Più vasta è l’identità culturale di un’impresa meglio essa saprà districarsi nella lettura profonda di un’esigenza insoddisfatta della clientela.
Anima in Corporation aiuta le imprese e gli studi professionali a leggere i problemi secondo chiavi alternative, per favorire la soluzione più equilibrata e comunicarla in maniera efficace.