Gli studi professionali che si affacciano alla comunicazione si trovano a confrontarsi con antiche terminologie di marketing aziendale, alcune delle quali da molti ritenute superate pure per le imprese.

Ad esempio, era molto in voga un tempo distinguere tra modalità push e modalità pull della comunicazione. In origine, la distinzione era più genericamente di marketing, concernente l’impostazione dell’azienda rispetto agli intermediari. L’impresa agisce push quando spinge i suoi prodotti verso la distribuzione, pull quando si muove secondo gli ordinativi dei consumatori, magari saltando la distribuzione e i retail o puntando sulle filiere corte.

Proiettata sulla comunicazione, la distinzione ha manifestato tutto il proprio significato con l’arrivo del web. La tradizionale pubblicità, televisiva o su carta, veniva inquadrata come una tipica spinta push, una sollecitazione non richiesta indirizzata al consumatore. Il web agirebbe invece in entrata: è il consumatore che al momento del bisogno ricerca il bene che gli serve, a all’impresa compete di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto (cioè sui motori di ricerca. Ma, per capirci, anche la partecipazione a una fiera inclina verso una modalità pull).

 

La verità è che le due modalità tendono a incrociarsi e che troppo frettolosamente è stata annunciata la morte della modalità push.

Per prima cosa, il consumatore non è una tabula rasa i cui bisogni si accendono indipendentemente dalle informazioni che ha ricevuto in precedenza. Gli stessi bisogni sono talora indotti dalla pubblicità, e dunque da una comunicazione push. E’ incredibile la semplicità con la quale sono stati sorvolati settant’anni di critica sociologica, dimenticando questo passaggio.

In secondo luogo, la comunicazione tipicamente pull viene infettata da quella push perché l’utente che sta navigando in rete viene assediato da una massa di messaggi pubblicitari, il più delle volte non coincidenti con quello che sta cercando (ciò che rende tale strategia promozionale scriteriata nel novanta per cento dei casi).

 

Torniamo ai professionisti. Ha qualche senso tenere in conto la distinzione push/pull? Ricordiamo che le aspettative di buona parte del pubblico continuano a non essere, verso i professionisti, le medesime indirizzate verso le imprese. Certo, la variabile del prezzo acquista ogni giorno una maggiore importanza ed è possibile che venga preferito, in una selezione che il cliente stesso ha messo in piedi, il professionista economicamente più conveniente, ma è assai più difficile che la sua scelta cada sul professionista che lo abbia sollecitato con una comunicazione push eccessivamente aggressiva.

 

C’è però almeno un caso di comunicazione push alla quale dovrebbero essere ricettivi gli studi professionali, a maggior ragione quelli che non intendono appiattirsi sulla concorrenza del prezzo più basso: la comunicazione volta a rendere consapevoli i potenziali clienti sui propri bisogni. Che si tratti di nuove forme di prevenzione medica o di avanzate soluzioni energetiche per le abitazioni o di metodi di pianificazione successoria nel campo giuridico e tributario (si tratta di piccoli esempi dentro una casistica molto vasta), molte persone ignorano quale sia la tutela più efficace dei loro interessi, e non di rado ignorano proprio l’esistenza dei bisogni che sono a fondamento di tali interessi. Non sto parlando qui dell’induzione di falsi bisogni, che è tipica della pubblicità commerciale e che se attuata da un professionista sarebbe probabilmente passibile di attenzione deontologica da parte del suo Ordine. Al contrario, si tratta di una comunicazione virtuosa perché al centro del messaggio c’è un’informazione potenzialmente utile, oltre che per il pubblico, per tutta la categoria (conseguendone un allargamento del mercato dal lato della domanda). Va da sé che il professionista che la fa circolare abbinata alla sua voce e al suo nome rende nota una sensibilità per il tema e (se la comunicazione si spinge piuttosto avanti) anche la competenza relativa, e ne trae dunque un legittimo vantaggio diretto. Fanno parte di questa forma di comunicazione le newsletter, l’impiego dei social e forme tradizionali di comunicazione che possono arrivare anche alla pubblicità.

La comunicazione pull, che ha un suo nucleo centrale nell’organizzazione dello spazio web, dovrebbe invece consistere nella risposta alla latente domanda di chi cerca per suo conto informazioni: perché scegliere questo professionista e non un altro? Il contenuto utilizzato per la comunicazione push, evidentemente, sarebbe utilizzabile anche in questo contesto ma secondo un differente criterio di ordine e anche di linguaggio.

 

E’ questa una premessa strategica utile per avvocati, medici, commercialisti, notai, architetti, ingegneri, e così via. Ma anche una base di riflessione per gli Ordini e la loro comunicazione push. Gli Ordini possono trarre giovamento dalla concorrenza tra i loro membri incentrata sulla diffusione di contenuti di interesse generale. Ma di sicuro questa sensibilizzazione dei cittadini ai loro bisogni effettivi sarebbe anche un compito istituzionale, essendo un’ottima base per riaccendere i riflettori sulla centralità e l’importanza sociale delle professioni.

Quanto alla comunicazione pull, devo confessare che rimango stupito dal constatare come quasi mai i motori di ricerca, compulsati dagli utenti per simili questioni di interesse generale, conducano alle risposte degli Ordini professionali: che pure avrebbero tutto l’interesse, sotto il profilo dell’autorevolezza istituzionale, a evidenziarsi come i naturali punti d’arrivo per ottenere un’informazione corretta e veridica.

 

Anima in Corporation studia soluzioni comunicative appropriate per gli Ordini e gli studi professionali. Contattateci per maggiori informazioni.

Nome:*
E-mail:*
Telefono:
-
Messaggio:*