Introdurre delle espressioni nuove ha uno svantaggio, la facilità del fraintendimento. Quando parlo dell’identità culturale delle aziende preferisco sempre specificare che l’aggettivo “culturale” non si riferisce al fatto che l’azienda sovvenzioni l’arte o il teatro. L’identità “culturale” è quella che l’azienda possiede se non la consideriamo solo come soggetto di mercato. Questa forma di identità, che di rado le imprese curano meticolosamente, ha un’incidenza sempre maggiore sul business. E’ grazie all’identità culturale che di un’impresa si parla in un contesto che non è il suo e grazie all’identità culturale che l’impresa acquisisce, rinforza, consolida la sua reputazione.
Se è vero che avere un’identità culturale non significa necessariamente fare cultura, nulla vieta che in alcune circostanze anche quello (fare cultura) sia una strategia efficace. Basta uscire dalla logica passiva della sponsorizzazione, dove l’azienda mette il suo nome accanto a un evento che però rimane estraneo al suo pensiero e alla sua produzione.
Guardate cosa ha fatto Ikea. La scorsa settimana ha celebrato “Ikea lives eArth”, invitando 21 protagonisti della street art a dipingere dei muri con loro opere. Fatta semplicemente così sarebbe un’operazione di mecenatismo divulgativo. Ikea però non si è limitata a mettere in gioco il marchio: intanto in coda alla performance che si svolgeva in 11 città diverse ha organizzato workshop, lavoratori e incontri del pubblico con gli artisti per creare un senso di coinvolgimento attivo. E ha contestualizzato la performance dentro un messaggio ecologico: i graffitari hanno utilizzato Airlite, una vernice che disperde gli ossidi di azoto e a contatto con la luce attiva un procedimento analogo alla fotosintesi. Una superficie di 1000 metri quadri dipinti ha l’effetto di uno spazio forestale, eliminando i gas prodotti da 90 automobili a benzina.
La street art è stata in questi mesi al centro delle cronache per il rifiuto opposto da alcuni artisti alla privatizzazione delle loro opere, che a Bologna dovevano essere in parte staccate dal muro per essere esposte in spazi chiusi. I graffitari hanno rigettato la de-contestualizzazione del loro lavoro: il più estremo è stato Blu che (come aveva fatto a Berlino) ha rimosso con le ruspe quanto aveva realizzato, per impedirne il trasloco in un’area museale.
Con la street art Ikea aveva iniziato il gemellaggio lo scorso anno ma, consapevole di come stia accelerando la diffusione del suo significato sociale, ha rilanciato e potenziato la sua azione. A fronte delle istituzioni pubbliche, che non riescono a intrecciare con i graffitari- che fino all’altro ieri avevano penalmente perseguito- una relazione reciprocamente rispettosa, Ikea ci fa un figurone, sottoponendo la sua reputazione e credibilità a un filtro interlocutorio tanto esigente quanto gli street artists.
Riesce, con un’unica operazione, a patrocinare l’arte e la natura, avvicinandosi al tema dalla sostenibilità in modo non convenzionale e valorizzando la conoscenza di un tipo di vernice che inverte il processo circolare della tossicità dei materiali.
Cerca di incorporare le attrattive della street art. Produce, dalle opere degli street artists, poster in produzione limitata, ma a basso costo, secondo la logica democratica “alla portata di tutti” che è l’imperativo della street art ma pure il fulcro del marketing Ikea. E torna a spingere su quella che è stata la sua svolta produttiva degli ultimi anni. Ikea, infatti, è il simbolo del razionalismo funzionale. Ma per questo tende a realizzare ambienti uniformi. Una delle ultime tendenze di design nell’arredo è quello di “vestire” in modo personalizzato e lussuoso i mobili e i divani Ikea: vi sono aziende, come Bemz e Superfort, che stanno volando grazie all’intuizione. E Ikea stessa, prendendo atto della nuova tendenza, si è orientata verso cucine dalla libertà modulare, personalizzabili. Insomma Ikea ha bisogno ora di compensare l’usura della sua lunga stagione di brand funzionale con la valorizzazione della libertà espressiva. Cosa di meglio potrebbe rappresentarla della street art? L’azione pittorica nelle strade scivola persino in un evocativa nobilitazione del bricoleur che si risistema il giardino con gli attrezzi Ikea. Nessun dettaglio è stato lasciato al caso. Se non completamente nel design, il razionalismo funzionale continua a governare in modo impeccabile il marketing dell’Ikea.
Anima in Corporation guida l’impresa nella scelta e nell’uso degli strumenti culturali adatti al proprio business.