Solo un paio di anni fa un professionista che avesse dichiarato di voler fare marketing per il suo studio sarebbe stato linciato. Sembra invece che sia cominciata una nuova era: testi con il titolo “marketing professionale” , consulenze aventi ad oggetto il business coaching professionale, (anche la parola business era considerata sin qui sconveniente nell’ambito professionale), schiette dichiarazioni di abbinamento tra marketing e professioni.

E’ una cosa buona o un segno di degrado? Cosa ha determinato la svolta? E si tratta di svolta autentica o di mera apparenza? Il cambiamento non è nato dal nulla. E’ da anni che l’Authority per la concorrenza, e più in generale, la Comunità Europea sono orientate a troncare la linea di separazione tra imprese e professioni. E’ da anni che alcuni studi professionali (avvocati, medici, notai, architetti, commercialisti ecc.) hanno realizzato un’organizzazione interna di taglio fortemente imprenditoriale. E’ da anni (anche prima dell’abrogazione delle tariffe professionali) che, occultamente, molti professionisti hanno sviluppato politiche “commerciali” aggressive sui compensi o i procacciamenti d’affari (ma anche sulle relazioni: inserirsi in circoli o associazioni che “obbligano” almeno moralmente a scambiarsi favori tra professionisti). Questa è la situazione, e si inserisce in un sistema di aspettative del pubblico che, in un corto circuito di cause ed effetti, se ne è fatto influenzare e l’ha influenzata. Prenderne atto è doveroso realismo. Dal punto di vista dei costi per il pubblico si deve riconoscere che essa ha eliminato alcune “bolle” ridimensionando i compensi dei professionisti medi (ma non di quelli di alto livello); dal punto di vista dei professionisti appare incontestabile che molti considerino una contromossa ragionevole fondare l’inseguimento di una clientela non più “fedele” su un abbassamento della qualità.

Dunque, parlare “ad alta voce” del rapporto tra professioni e marketing consente di creare regole chiare e anche di non eludere il problema della deontologia delle singole professioni. Il rischio, tuttavia, è che si traspongano puramente e semplicemente alle professioni schemi nati per le imprese. Insomma, la pedissequa ripetizione di linguaggio consolidatosi in ambito aziendale (marketing, coaching) potrebbe essere sintomo di una scarsa conoscenza della realtà professionale, che non può essere allineata pari pari all’impresa. Anima in Corporation preferisce l’espressione “identità dello studio professionale”. La domanda a cui cerchiamo di rispondere è: come può un professionista farsi percepire diverso dai concorrenti adottando codici di comunicazione adatti al contesto professionale? Oggi si parla molto di social media: ma quel che va bene per uno potrebbe non andar bene per l’altro, e il dilemma non riguarda soltanto la forma (Linkedin? Blog? Facebook? Pubblicità su supporti esterni, fisici o digitali? Sito web?) ma i contenuti. Bisogna evitare la standardizzazione, che è stata la rovina delle professioni. In questo blog torneremo spesso sul tema.