Uno degli assiomi più superati, nelle best practices delle imprese di alto livello, è la rigidità decisionale. Intendo con questa formula il verticismo monolitico del management, che attua senza confronto interno una strategia e la porta avanti testardamente, attendendo il momento buono se i risultati non sono inizialmente quelli attesi.

Al di là dei tradizionali focus group o della cosiddetta co-creazione di valore con la clientela (decollata assai più nei manuali che nella pratica), sono al varo diverse formule decostruttive, volte cioè a mettere in discussione le scelte sin dal momento in cui l’impresa è pronta ad effettuarle. Eccone alcuni esempi, che possono tornare buoni per qualsiasi realtà organizzativa.

Brainstorming con le risposte? Meglio con le domande. Le sessioni di brainstorming, di solito, partono da una domanda e prendono vita con il fuoco di risposte che le fanno seguito. Ma pensare la risposta a una domanda preconfezionata non è mai tanto liberamente creativo quanto immaginare delle domande intorno a un problema. Ecco dunque la tecnica: assegnare ai partecipanti la riflessione su un problema, invitare ciascuno in un tempo determinato a porre un certo numeri di domande (dalla basica “perché questo aspetto non ha funzionato?” alla più strutturata “cosa accadrebbe se?), imporre rigorosamente ai dirigenti di frenare il loro desiderio di rispondere immediatamente. Dopo la sessione (o le sessioni) ai dirigenti competerà da un lato porsi le domande sulle domande (perché hanno chiesto questo?) e dall’altro raccogliere gli spunti provando a rispondere ad alcune, selezionate, domande all’interno del gruppo decisionale ristretto. Questo tipo di brainstorming, praticato in aziende come Amazon o Zappos, riesce meglio se le domande non sono aggressive, se la partecipazione è allargata fuori dalla dirigenza, se nessuno viene inibito e se c’è un moderatore che guida i lavori e aiuta il management a soppesare le risposte.

Credere nel successo di un nuovo prodotto o servizio? Meglio fare finta, intanto, che sia già stato un fallimento. Un problema che ha condotto diverse grandi imprese al naufragio è stata la persistenza in una strategia che i tempi hanno reso obsoleta (i casi esemplari, citati in tutta la pubblicistica, sono quelli della Kodak e delle Nokia). Alla radice di tale errore c’è la deviazione dai criteri razionali provocata dai bias cognitivi, sui quali esiste una variegata gamma di suggerimenti per scansarli. Ma ci si può portare avanti con il lavoro, e anzichè intervenire su una strategia in corso fare un ulteriore e preventivo test di verifica riguardo una strategia che ancora deve essere messa in atto. Due docenti della London Business School mostrano come un tipico bias cognitivo, il cosiddetto prospective hindsight, possa essere “rigirato” e impiegato per raffinare la decisione. L’hindsight è l’illusione del senno di poi: crediamo che avremmo potuto prevedere qualcosa che è accaduto, dimenticando la carenza di informazioni o l’obiettiva alea che rendevano difficile una simile previsione. Nel marketing, orientarsi in questa prospettiva vuol dire: “immaginiamo che siano trascorsi cinque anni e la nostra strategia non abbia reso quote di mercato e proviamo a spiegare perché”. Ebbene, i partecipanti, per giustificare la defaillance, trovano il 25% di (valide) ragioni in più rispetto a quelli che si cimentano in un puro esercizio di previsione. Questo passaggio, quasi narrativo, implica l’approfondimento del tema e consente di ricorrere a cautele e correzioni del progetto che diversamente non sarebbero emerse.

Abbiamo un problema da risolvere? Risolviamone un altro. E’ il cosiddetto reframing, di cui mi sono già occupato su questo blog. Accade spesso che le aziende fraintendano un loro problema, e a quel punto si indirizzino verso una soluzione sbagliata. L’esempio più efficace per rendere il concetto è il dilemma dell’ascensore lento.  In un edificio c’è un ascensore che ormai è un baraccone e che i condomini lamentano essere troppo lento. Tale è il fastidio per le attese che minacciano di recedere dai contratti di affitto. Cosa deve fare il proprietario? Per forza svenarsi e ordinarne uno più moderno? Esiste una soluzione più economica. Piazzarci a fianco uno specchio. E l’idea si dimostra efficace nel ridurre le lamentele, perché le persone, rimirandosi, non si accorgono del tempo che passa. Esattamente, dunque, il reframing è la risposta a una diversa comprensione del problema. Anche in questo caso la partecipazione allargata, persino a figure con competenze diverse che più naturalmente vedranno il problema da un’altra angolazione, contribuisce al successo della formula.

Non è che i manager si regolino così perché hanno voglia di giocare (cosa che, peraltro, non sarebbe né disdicevole né controproducente). E’ che il marketing nasce dal pensiero laterale, e riacquista le sue energie più vigorose quando scompagina prima di ricombinare.

Anima in Corporation si propone come mediatore culturale dentro le strutture organizzative per la gestione alternativa del problem solving e dei processi decisionali.

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