Le gaffe pubblicitarie più note sono quelle che offendono una sensibilità di genere o di etnia. Solo pochi giorni fa Dove ha ritirato, scusandone, la campagna di un sapone che riusciva a “sbiancare” una ragazza di colore. Nella scorsa primavera altrettanto è capitato alla Pepsi per un spot in cui Kendall Jenner, durante un corteo per la pace cui si è unita, cammina con fare maliardo verso un poliziotto in assetto di carica e gli offre una Pepsi, richiamando anche iconograficamente “la manifestante di Baton Rouge” (ma anche involontariamente facendole il verso) stemperando la tensione: solo che il finale a “tarallucci e pepsi” steso su un tema tanto carico di tensione (le cariche della polizia, specie su manifestanti neri) è stato giustamente considerato un’inaccettabile e superficiale svilimento.
Meno discussa, ma certo non meno dannosa per un’azienda è la comunicazione intempestiva: parlare/mostrare in un modo che, se non è fuori luogo in assoluto, cade nel momento sbagliato. Con wrong time advertising è stata talvolta indicata la comunicazione che incappa in un’infelice programmazione oraria. Io preferisco appropriarmi di questa definizione per i casi in cui non si sbaglia orario ma giorno, settimana, mese, epoca… Ancor più estesamente possiamo parlare di wrong time corporate communication per andare oltre la pubblicità. Un’impresa può inciamparvi in via del tutto accidentale, come la Toyota che diede il nome di Tsunami a un suo nuovo modello appena prima del devastante maremoto del Pacifico nel 2005… Furono pronti i giapponesi a cambiare nome alla vettura e cancellare ogni comunicazione che vi faceva riferimento. Spesso però non è questione di sfortuna.
Sono rimasto incredulo, nel week-end del 2 ottobre, nell’imbattermi in questa pubblicità cartacea
Non è una giornata qualsiasi per Barcellona? Certo che non lo è! Nello stesso giorno in cui sfogliamo il giornale potevamo leggere degli 800 feriti nei seggi e del rischio di una guerra civile. Quanto può essere irritante immaginare che quello non è un giorno qualsiasi perché c’è una crociera invernale della MSC?
Vero, le pubblicità sui giornali vengono programmate con un certo anticipo, ma a parte il fatto che di fronte a fatti sensazionali c’è sempre tempo se non di correggerle di ritirarle, qualunque persona minimamente informata sapeva da settimane che in Catalogna c’era una situazione insidiosa, passibile di sviluppi drammatici. Dal punto di vista comunicativo questa pubblicità è un “affondamento” della compagnia, che non solo viene associata a un’immagine in quel momento negativa ma fa la figura del soggetto disinformato interessato solo alla mondanità, che nuoce anche alla fiducia che dobbiamo nutrire vero qualcuno per affidargli noi stessi e farci portare in giro per il mondo.
Sempre alla fine di settembre la Foodora si è trovata al centro delle cronache perché paga i fattorini poco più di due o tre euro euro a consegna, al lordo delle spese. Alcuni giornali hanno intrapreso una campagna, raccogliendo testimonianza dei fattorini, e cosa accade il 27 settembre? Che Foodora partecipa a un’iniziativa di beneficienza. Niente di male, anzi. Se non fosse che l’iniziativa in questione, rivolta ai senza tetto, si chiama… La Zuppa della Bontà! Ce l’avranno un manager della responsabilità sociale da Foodora? (credo di no). O almeno un consulente di comunicazione? Qualcuno insomma che gli spieghi che si fa una figura odiosamente ipocrita a farti imparentare alla Zuppa della Bontà se nello stesso preciso istante i tuoi fattorini (ai quali in sostanza dici tutti i giorno o ti mangi ‘sta minestra…) denunciano che con i loro compensi da fame li metti in mezzo alla strada (non solo per le consegne). Certo, potrebbe essere un’ottima cosa se prendessi la palla al balzo, e spiegassi che la Zuppa della Bontà è un’occasione per cambiare corso perché da domani i fattorini… (anche questo non credo! Almeno non per ora, e non spontaneamente).
Come dicevo si può anche sbagliare epoca. Guardate l’iconografia della Fiorentini, ditta alimentare di prodotti light, che nella campagna più recente fa perno su una sorta di figura chimerica. Per il vero la figura chimerica della mitologia è quella che presente tratti da specie diverse, e a volte sovrappone l’essere umano e l’animale. Così il centauro, che ha la testa e il busto d’uomo e la parte inferiore di un caprone o la medusa che ha la testa di donna ma i capelli di serpente o la stessa chimera, che ha a testa e il busto di leone ma il corpo di donna. La Fiorentini altera questo schema perché alla parte umana non è mescolata una parte animale ma una oggettuale. La sua testimonial, in effetti, è una giovanetta fino al petto ma da lì sotto b la parte inferiore è un… metro. Proprio un metro di misurazione da sarto, che scivola giù leggermente arricciato e quindi in una prospettiva laterale che lo spinge verso la scomparsa. L’effetto che ne risulta è che la modella non ha un corpo ma lascia intuire una silhouette, e in effetti il messaggio dello spot è l’esortazione a “cambiare la propria vita” (giocando sul doppio senso esistenziale/addominale). In sé il pay-off (i prodotti Fiorentini garantiscono la leggerezza e quindi il dimagrimento) avrebbe una sua coerenza ideologica. Peccato che cada in una fase storica in cui la magrezza delle modelle è sotto tiro (Dior e Gucci hanno appena annunciato che cambieranno stile fisico delle ragazze sulla passerella) per il danno che l’eccesso di cura della “linea” produce sulla salute: a quanto pare alla Fiorentini nessuno lo ha comunicato. Se si gioca sulle metafore, poi, bisogna essere in grado di maneggiarle: la metafora della donna light “a scomparsa” è uno schiaffo a tutti i movimenti (ormai non solo elitari) rivolti a rimediare all’invisibilità sociale della donna. Per tacere del fatto che l’espressione “cambiare vita” in un contesto pubblicitario che si riferisce alla bellezza suona particolarmente infelice dentro un quadro storico in cui la donna viene invitata ad accettarsi per com’è: persino le grandi aziende di cosmetici hanno l’accortezza di presentare i prodotti in un quadro conservativo dell’identità esistente. Insomma l’area di comunicazione della Fiorentini vive piacevolmente in una bolla, sottratta alla morsa delle grandi trasformazioni sociali, che pure riguardano il pubblico cui si rivolge.
Del resto, se si ascolta il jingle “Ci vuole Fiorentini, le gallette gli snackini, per cambiare la tua vita questa è la felicità” si spiega anche quell’altra cosa.
Oggi all’impresa che voglia consolidare il legame con un pubblico o una community si aprono inedite prospettive di comunicazione, quali l’instant advertising e il brand journalism: il destino di un’azienda sul mercato è sempre più condizionato dalla capacità di farsi apprezzare come attore sociale complessivo che esprime una visione del mondo assai più in là del marketing di prodotto o delle suggestive evocazioni del brand. Il minimo sindacale, però, è non inciampare nel wrong time advertising, soppesando tutte le implicazioni sociali e le reti dell’attualità che interferiscono con una specifica comunicazione.
Anima In Corporation per affiancare le aziende con il brand journalism e l’instant advertsing e per evitare wrong time communication.