Le migliori riviste di viaggio? Non le trovate in edicola, probabilmente, ma sugli aerei. Nel momento in cui si pronostica la triste fine editoriale della carta stampata, 150 compagnie aeree producono un eccellente esempio di brand journalism, mettendo a disposizione dei passeggeri altrettante riviste da sfogliare (anzi, da leggere) durante il volo. Che dalla tasca davanti si sfili uno stampato non è certo una novità, un tempo quello dell’Alitalia era anche tra i meglio confezionati: ma spesso si trattava di un incrocio tra un catalogo di prodotti  venduti a bordo e una raccolta di marchette. Negli ultimi anni il cambiamento di qualità è stato impressionante, e alcune riviste competono con i magazine di freestyle e qualche volta li battono. Che siano apprezzate lo dicono le statistiche: addirittura il 97% di readership! Praticamente chiunque si sieda sull’aereo le prende in mano. E’ per questo che alcune ospitano pagine pubblicitarie di grandi marchi. Ecco che l’editoria, inaspettatamente, consente a un’azienda di farsi sovvenzionare da altre aziende…

 

Per comprendere di che tipo di fenomeno stiamo parlando, Cara della irlandese Airlingus è la terza rivista più letta d’Irlanda, Blue Wings della compagnia finlandese è stata indicata come miglior pubblicazione nazionale, Rhapsody della United Airlines ospita interviste o racconti di grandi scrittori, come Joyce Carol Oates o, nell’ultimo numero, Elizabeth Stout. Tutte gareggiano nell’assicurarsi fotografi di fama. Alcune, francamente, rispecchiano un po’ troppo pedantemente certi schemi rigidi resi ricalcati dal web e si affidano nella copertina a scontati primi piani di celebrità. Ma quasi tutte mostrano una certa capacità di rivolgersi a una platea variegata di lettori, anzi spesso le pagine progrediscono verso un innalzamento del livello culturale man mano che il giornale si approssima alla metà. E’ una pratica sensata perché la composizione di un aereo è, per sua natura, multiforme per estrazione sociale ed etnia. E ciononostante una qualche forma di profilazione del pubblico è resa possibile dall’uso di Facebook (in questo senso si è mossa la brasiliana Tam Airlines).

Per chi ama il giornalismo un vero gioiello è Traveller, di Easy Jet: oltre tutto l’unico caso di una compagnia low cost. Prodotto in carta riciclata, con un impaginazione che ricorda il magazine del New York Times e in qualche pagina osa virare verso lo stile Monocle, Traveller sembra voler dire: “Se carta deve essere che carta sia!”. E mostra come si possa assimilare la trasformazione delle abitudini di lettura maturate su Internet rielaborandole però in modo conforme alla lettura su carta.

Guardare questo assoluto capolavoro che è l’indice

 

 

Quali insegnamenti si possono trarre dai magazine cartacei delle compagnie aeree?

  1. Il primo obiettivo di un buon marketing è lavorare per tenersi i clienti che si hanno, prima di applicarsi a procurarsene di nuovi. Anche se si possono sfogliare sul web, la quasi totalità dei magazine si possono leggere solo volando con quelle compagnie.
  2. Il brand journalism è il modo più efficace per sviluppare l’identità culturale di un’azienda. E’ ovvio che nessuno sceglierebbe un volo piuttosto che un altro per leggere una rivista. Però quando mi ci trovo sopra e la rivista mi mostra che la compagnia che mi sta facendo viaggiare è una vera opinion leader nel campo dei viaggi e del turismo e vede il mondo da una particolare angolazione, questo accresce la mia fiducia nei suoi confronti. E apprezzo che la rivista non mi parli di sé e del suo mercato ma dei miei interessi, anche quelli che (apparentemente) esulano dal servizio che mi offre.
  3. Anche se il web magazine è la via maestra del brand journalism, la gente non ha affatto dismesso il piacere di leggere dalla carta. Magari le è passata la voglia di spendere dei soldi per farlo e se si trova in una situazione di distrazione si gingilla con altro. Sotto questo profilo il vantaggio comparativo delle compagnie aeree è ineguagliabile.

 

Ma davvero non ci sono altre situazioni in cui, su scala minore (cioè senza che il 97% delle persone prendano in mano il giornale: ma il 20% basterebbe eccome),trovarci tra le mani un giornale ci gratifica?

Una, molto tradizionale, è quella delle sale d’attesa degli studi professionali. Non credo che su certi settori sarebbe tanto difficile farsi accogliere per un’azienda che punti sul brand journalism. Lo svantaggio però è che necessita una vera distribuzione, oppure costi alti di spedizione. Meglio sarebbe dove c’è una maggiore concentrazione quotidiana, oppure la certezza che la posizione (se non l’esposizione) del giornale non resti nelle mani di terzi incontrollabili e ingovernabili.

Ecco dunque che le aziende che hanno negozi monomarca e/o un buon rapporto con una distribuzione specializzata hanno una chanche notevole di raggiungere il pubblico. Si dirà che mentre si fa la spesa difficilmente si legge un giornale. E in quel caso, in effetti, si deve pensare a un magazine da “trasporto” che però può intercettare con precisione gli interessi dei suoi lettori.

 

Un’eccellente opportunità avrebbero le società che noleggiano auto, che potrebbero collocarlo all’interno delle vetture. Molto favorevole è anche una situazione di quartiere che affili in networking diversi esercizi commerciali rappresentati da una rivista comune (con un filo editoriale che non sia assolutamente la somma dei loro depliant pubblicitari!). Ci sono poi luoghi in cui ci si trova nello spirito di ricercare l’autorevolezza cartacea (come le farmacie: c’è in effetti qualche esempio di simil-magazine delle singole farmacie, ma non di una grande azienda della salute che si rivolge direttamente ai consumatori) o si usufruisce di impensati tempi di pausa (come nelle palestre: quante aziende mandano i loro prodotti alle palestre e li tengono anche sul mercato?). La rivista cartacea può anche oscillare tra il servizio B2B e l’intrattenimento del cliente dell’azienda servita: è quello che fa (piuttosto bene) il magazine di Aveda dai parrucchieri. Di un magazine trarrebbero frutto i tassisti. Molte catene di ristoro sarebbero in grado di ricavare vantaggio da un brand journalism di questo tipo. E che le grandi catene alberghiere non abbiano una rivista di valore, sul genere di quelle da volo, beh…è una cosa fuori dal mondo.

Quel che le aziende dovrebbero comprendere è che alcuni messaggi (non quelli direttamente pubblicitari), se inseriti nel contesto giusto, si fissano in testa molto più efficacemente se li abbiamo recepiti sulla carta invece che su un display. Provate a imparare a memoria una poesia leggendola sullo schermo e poi fatemi sapere.

 

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